Tecniche Cinematografiche

“LUCE”

di Marco Rosati

Scolpire la luce significa trarre forma visibile da ciò che è illuminato, scandirne la forma, evidenziarlo al meglio. La fotografia è alla base del cinema, nasce dalla scommessa di imprimere una immagine su un supporto e riprodurla. Quando il proiettore si aziona parte un fascio di luce che rende visibile quell’immagine. Il controllo della luce è quindi fondamentale per la ripresa e diventa una tecnica utilizzabile per creare forme, ombre, illusioni, effetti. E’ testato che un volto fermo sull’inespressività, può mutare varie espressioni con il solo ausilio dell’illuminazione. Quando è assente si verifica il buio, quando la luce eccede in gergo si dice “bruciatura” ma anche l’eccesso può essere un effetto voluto e ce lo insegnano importanti autori (vedi le scelte fotografiche di “bruciatura” volute da Steven Spielberg in “Minority Report” – 2002; “Lincoln” – 2012; “Ready Player One” – 2018).

Al direttore della fotografia il compito di gestire la luce e comporre l’immagine. Su molti set in esterna, i direttori attendono l’attimo esatto in cui il cielo raggiunge lo zenit d’illuminazione necessario alla ripresa. Può provenire da uno o più fari elettrici, può essere virata mediante pannelli riflettenti, può essere all’interno della scena o provenire dall’esterno. Per Emir Kusturica la luce và gestita come il suono e sottolinea l’importanza del buio. Anche il buio è necessario per la narrazione: un cambio scena, una soggettiva in cui il personaggio chiude gli occhi, una stanza dove la lampada viene spenta. “2001: Space Oddity” (Stanley Kubrick, 1968) inizia con una lunga sequenza di buio, la musica c’è ma nessuna immagine, o meglio, l’immagine vuol essere proprio il buio. Nel film “Nymphomaniac – Vol. 2” (Lars Von Trier, 2013) la fine è buia, si sentono le voci ed un colpo di pistola. L’assenza di luce è stata molto utilizzata nel cinema degli albori, e le ombre hanno caratterizzato generi e situazioni, creando immagini passate alla storia. Tutti possono aver presente l’ombra del vampiro che si staglia sulla parete mentre sale le scale in “Nosferatu, Eine Symphonie Des Grauens” (Friedrich W. Murnau, 1922).

Le ombre sono state fondamentali per il movimento espressionista tedesco. Gli oggetti già deformati hanno creato disegni sulle superfici contorte regalando composizioni uniche. L’importanza quindi del luogo di scena, non semplice fondale su cui recitare, ma parte attiva alla creazione di immagine e valorizzazione del messaggio. Le ombre delle sparatorie nel genere noir, le lunghe figure nella sabbia dei film western, un nemico appostato dietro un riparo, un mostro che si avvicina. Dall’ombra alla silhouette il passo è poi breve. Disegnare con la luce le figure è un ritorno all’origine della diapositiva. Il valore simbolico della persona che diventa una unica figura scura ha facile identificazione in un cinema di mistero, angoscia, suspance. L’utilizzo di Erich Von Stroheim in “Greed” (1924) maschera una situazione per nasconderla dietro un velo, ma la rende ancor più evidente e grottesca perché ne vediamo lo svolgimento.

E’ una silhouette quella dell’assassino che si avvicina alla tendina della doccia in “Psycho” di Alfred Hitchcock (1960), per non dimenticare quanto sia iconica la silhouette del regista stesso diventato marchio di riconoscimento. Nel suo “Notorious” (1946) fece mettere una invisibile lampadina accesa dentro il presunto avvelenato bicchiere di latte, evidenziandone così il bianco contenuto.  Ma non solo per restituire mistero, la figura scura del personaggio dona anche epicità, sempre come parte integrante di un contesto scenico. Ancora Spielberg può dare vari esempi con i suoi personaggi: Indiana Jones salvatore appare in forma riconoscibile in “Indiana Jones And The Temple Of The Doom” (1984); la bicicletta in “E.T. The Extra-Terrestrial” (1982) si staglia sullo sfondo della luna volando nel cielo; gli alieni di “Close Encounters Of The Third Kind” (1977) mentre escono dalla loro navicella, disegnati dalla luce. Aumenta il senso voyeuristico che nutre lo spettatore, la curiosità di sapere, identificare i personaggi. Gli eroi di “Gone Withe The Wind” (Victor Fleming, 1939) si stagliano leggendari ritagliati sullo sfondo di un intenso panorama.

Ma è nel genere noir che l’utilizzo tecnico della luce acquista uno dei suoi massimi splendori. L’utilizzo è molteplice come elemento portante dell’inquadratura: è soffusa dove serve a nascondere i personaggi, crea atmosfere interessanti, delinea il fumo che proviene dalle sigarette che rende la luce palpabile. Ne è un meraviglioso esempio “Citizen Kane” (Orson Welles, 1941) dove la luce  è protagonista insieme ai personaggi. Indica come un occhio di bue, nasconde invece di rivelare, incornicia le figure.

Ed è proprio il fumo uno degli ingredienti per ottenere evidenti fasci di luce altrimenti poco visibili. Ce lo svela Dario Argento raccontando che per rendere l’atmosfera rarefatta del film “Trauma” (1993) la scena veniva riempita di fumo da apposite macchine: il fumo era visibile sul set, ma impercettibile per la cinepresa. La luce quindi come mezzo creativo, gestibile, ispiratore. Uno dei massimi esempi artistici lo abbiamo con Rainer Werner Fassbinder nella brillantezza di un voluto bianco e nero dove la luce splende come stelle in “Die Sehnsucht Der Veronika Voss”  (1982), rimbalzando sulle superfici, mutando attraverso i vetri, intermittente con il passaggio dei personaggi.

Per realizzare “Barry Lyndon” (1975), Stanley Kubrick volle che la luce non fosse falsata da fari, ma rispettasse fedelmente l’epoca in cui si svolge la storia, quindi con sola luce naturale. Per far ciò si avvalse del contributo della NASA, che gli permise di utilizzare una lente usata per le missione Apollo: l’illuminazione nei luoghi chiusi è affidata a candele, ed il risultato visivo del film ha valso il premio Oscar per la miglior fotografia. Ecco infine qualche altro esempio che riporta le soluzioni citate: ”Stacka” (Sergej Mikhajlovic Ejzenstejn, 1924), “M – Eine Stadt Sucht Einen Morder” (Fritz Lang, 1931), “The Lady From Shanghai” (Orson Welles, 1947), Sunset Boulevard” (Billy Wilder, 1950), “The Night Of The Hunter” (Charles Laughton, 1955), “8 ½” (Federico Fellini, 1963), The Exorcist” (William Friedkin, 1973), Days Of Heaven” (Terrence Malick, 1978), “War Of  The Worlds” (Steven Spielberg, 2005).