Fedic Persone

IN RICORDO DI AGOSTINO VINCENZI

UN PROFILO di Paolo Micalizzi

La passione per il cinema per Agostino Vincenzi nacque, come ricorda, alla fine degli anni quaranta, inizi cinquanta quando, per curiosità, incominciò a raccogliere spezzoni di pellicola che l’operatore del cinema “Arena” di Pesaro, che essendo all’aperto funzionava soltanto d’estate, buttava sulla strada dalla cabina di proiezione. Nell’ingenuità della sua adolescenza, ammette, sognava di portare nella casa, dove abitava con i suoi genitori, “frammenti di storie nuove, impresse nei fotogrammi di quella celluloide cosi maltrattata”. Frammenti che custodiva in una scatola di scarpe. Ma su questo Agostino Vincenzi, non è poi tanto sicuro perché, se non ricorda male, in quegli anni le scarpe forse non le aveva, figuriamoci la scatola. Quel che ricorda bene però è che chiese all’operatore come avrebbe potuto unire quei spezzoni di pellicola nella speranza di creare storie più lunghe e più belle.

Con l’acetone fu la risposta dell’operatore, stupito per tanto interesse. Seppe che poteva comprarlo in farmacia: vi si presentò con una bottiglia di un litro chiedendo di riempirgliela. Il risultato è che, dopo aver atteso pazientemente a lungo, venne di colpo prelevato da due individui, cosi li definisce, e portato in questura sotto lo sguardo incredulo della gente incontrata durante il tragitto. Lì subì un lungo interrogatorio e trattato come un ragazzino pericoloso. Lui cercò di spiegare il motivo di quella richiesta di acquisto, ma ci volle il padre a toglierlo dai guai spiegando agli inquirenti la sua passione per il cinema. Che continuò nel tempo fino ad acquistare, a rate, una piccola cinepresa C8 Paillard dal negozio Pandolfi, il cui proprietario lo consigliò ad iscriversi al Cineclub Pesaro da lui stesso fondato a metà degli anni cinquanta. Lo fece ed ebbero inizio le sue prime esperienze cineamatoriali. Nel frattempo ebbe un forte stimolo alla sua conoscenza del cinema con la frequentazione della Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro che prese l’avvio nel 1965 nella città marchigiana. Fu lì che scoprì il Neorealismo italiano assistendo ad una retrospettiva: ed ebbe occasione di incontrare direttamente registi, sceneggiatori e scrittori che hanno permesso di divulgare quel movimento nel mondo. “Era – dice – un universo che non conoscevo, un’enorme ricchezza di idee i cui messaggi, nonostante tutto, inducevano alla speranza per un mondo migliore. E tutto ciò ha inciso nella mia mente una traccia indelebile, che tanto ha contribuito al mio pensare il Cinema”. A tal proposito Agostino Vincenzi aggiunge: “Un ulteriore motivo di crescita e di inquietudine mi fu data dall’incontro con Michelangelo Antonioni il quale negli anni sessanta-settanta è stato l’autore del cinema internazionale più discusso, più incompreso ed infine il più acclamato. L’opera di Antonioni ha la forza di nascere, di marcare il nuovo tempo e i suoi film non rappresentano più una società. Come aveva fatto il Neorealismo, ma più generalmente, l’esistenza dei messaggi. E’ la malattia dei sentimenti che interessa il Regista: l’aridità, la solitudine, l’incapacità di comunicare, di dialogare e al tempo stesso la disponibilità ai valori, al bisogno di riempire il vuoto con il calore umano”.

Agostino Vincenzi esplicita chiaramente che Michelangelo Antonioni è stato il regista che ha sempre guardato con grande interesse e dal quale ha tratto motivi per il suo percorso cinematografico “pieno di dubbi e perplessità, come è logico che sia, ma tracciato con tanta passione e serietà, perché il cinema è una cosa seria”. Un percorso di filmmaker iniziato nel 1964, dopo essersi iscritto alla FEDIC nel 1963 diventando anche Consigliere Nazionale di quella Federazione nel biennio 1972-1974; e svolgendo intanto il lavoro di insegnante di Geometria Descrittiva e Arti Figurative Applicate nei Licei Scientifici. La sua formazione cinematografica si è arricchita nel tempo frequentando stages di approfondimento per la regia, sceneggiatura e fotografia cinematografica. Il suo esordio come filmmaker è avvenuto nel 1964 con “Il tramonto”. Un’opera ispirata ad una poesia di Leopardi in cui racconta dell’incontro di un bambino che gioca sulla riva del mare con un anziano signore che lo invita a non crescere in fretta. Fanno seguito poi altri quattro cortometraggi che si riferiscono a tematiche del suo “amato” Michelangelo Antonioni, fino ad arrivare nel 1968 ad uno che gli ha dato tante soddisfazioni essendo selezionato nel 1968 per il Concorso di Montecatini e successivamente in altri Festival ottenendo anche a quello di Teheran una menzione d’onore ed il premio del pubblico per l’emotività suscitata. Si tratta del cortometraggio “La stanza della nebbia” che è che è incentrato su una bimba costretta a vivere nell’isolamento di un casolare di montagna con i genitori rozzi e incapaci di comprenderla. Evade da quella triste situazione con l’immaginazione attraverso delle visioni dove si mescolano stimoli fantastici, aspirazioni, ricordi tipici di un’età delicata nel passaggio tra infanzia e adolescenza, quando si fa più vivo il bisogno d’affetto, specialmente in un ambiente familiare incapace a darglielo. E vivo è il pericolo di un inaridimento sentimentale ed il sorgere di inibizioni che potrebbero condizionare in maniera deleteria tutta l’esistenza futura. Un racconto che nasce dalla sua esperienza d’insegnante in una scuola media di Sant’Agata Feltria dove casualmente gli era capitato fra le mani il diario di una ragazzina, sua alunna, dove vi erano annotate forti sensazioni emotive. Secondo il critico Giulio Cattivelli si tratta senz’altro dell’opera più matura di Vincenzi ed una delle migliori apparse nel Concorso di Montecatini e pur rimanendo nel racconto qualche zona ambigua ed oscura, fatto inevitabile in un’opera del genere, l’insieme è notevole per vigore e felicità di intuizioni e dà l’impressione di una cosa seriamente pensata e realizzata con intelligenza e sensibilità. Circa il tema, il critico del quotidiano Libertà di Piacenza e collaboratore della Rivista Cinema Nuovo, annota che esso “è svolto con molta finezza, con un linguaggio cinematografico preciso e moderno nel ritmo e nelle soluzioni, perfettamente aderente al non facile registro interpretativo e per certi risvolti addirittura psicoanalitico”. Un premio anche all’opera successiva: “Ellisse” che al Concorso di Montecatini del 1969 si aggiudica, nella sezione informativa, la Coppa AGIS attribuitagli per i notevoli pregi formali: una buona fotografia, e alcune sequenze di ottimo cinema grazie anche a un sapiente montaggio. Il cortometraggio narra l’insoddisfazione permanente dei giovani d’oggi alla ricerca continua di un qualcosa di positivo che non trovano e non troveranno mai. Il tutto si svolge all’interno di un “comune” edificio fatiscente, sotto gli occhi di un ambiguo personaggio, che negli intenti dell’autore rappresenta una metafora del potere. Un corto sui problemi della coppia in una piccola città di provincia è in “Quel grigio colore del treno” (1977). Protagonista un architetto alle prese con la sua quotidianità fra moglie, amante e figlia. Per Luigi Serravalli, un critico molto attento alla produzione dei filmmakers FEDIC, è “uno scompiglio strutturale che lascia qualche perplessità di lettura” e che “si sofferma su valutazioni Architettoniche abbastanza curiose”. Dopo un documentario turistico per l’Azienda di Soggiorno di Pesaro dal titolo “Più cose per una sola vacanza” (1977), nel 1979 Agostino Vincenzi realizza Il caso Francesco, ammesso anch’esso al Concorso di Montecatini dedicato al cinema non professionale (il 30esimo). Un’opera ambientata in una casa di rieducazione dove lui ne ha vissuto la quotidianità essendo stato inviato quale supplente annuale dopo che terminato il servizio militare si era accinto ad intraprendere il lavoro d’insegnante. Ricordando quell’esperienza, Agostino Vincenzi annota che nell’ambiente del carcere, dove aveva accettato l’incarico di insegnante dopo aver superato l’imbarazzo e dopo una profonda riflessione, “dopo aver preso una timida confidenza con l’ambiente e con i giovani detenuti che li ‘ospitava’, mi resi subito conto di non aver nulla da insegnare, ma piuttosto tanto da imparare: sguardi senza espressione alla vana ricerca di un punto di riferimento, alla ricerca di un affetto che non avevano avuto e che in quel luogo non avrebbero mai potuto sperare di avere”. Nel 1982 realizza “…E allora?”, ammesso anch’esso al Concorso di Montecatini. Al centro del corto, tre donne: un’operaia, una direttrice d’azienda, una prostituta che, come in una seduta psicoanalitica di chiave femminista, si confrontano con la propria coscienza ed analizzano il passato, giudicano il presente, fanno progetti per il futuro. Franco Montini, critico cinematografico del quotidiano “La Repubblica” ed oggi Presidente del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani, ebbe a rilevare: “Ciò che colpisce subito nel film è l’estrema nitidezza e precisione della fotografia e dell’immagine, che testimonia della preparazione e dell’esperienza del suo autore”. Nel 2004 Agostino Vincenzi passa dalla pellicola alla realizzazione di cortometraggi con videocamera digitale. Ed inizia con Rumori dalla memoria, ammesso in Concorso nel 2005 alla 56^ edizione del “Valdarno Cinema FEDIC”. In esso, dichiara l’autore, “narro frammenti angoscianti di episodi realmente avvenuti durante la seconda guerra mondiale, rivissuti con fredda lucidità dalla protagonista della storia, ma dilatati e deformati dallo sforzo emotivo di un lacerante racconto”.

 

Il gruppo scultoreo dell’artista pesarese Fernanda Paianini è poi il protagonista di “Le donne di Pesaro” (2006) che ne ritrae tutte le fasi di lavorazione. Segue, nel 2007, un cortometraggio intitolato “Titolo provvisorio” con protagonista Irene nel cui animo riaffiorano il radicato rapporto conflittuale con la madre musicista, intimamente persuasa dell’unità dell’Arte nella Musica che le si impone come ragione di vita al punto di dimenticare doveri ed affetti nei confronti della propria figlia: è stato ammesso nella “Vetrina” del “Valdarno Cinema FEDIC” 2008. L’attività cinematografica di Agostino Vincenzi prosegue con “L’altro lato della strada” (2010) e “La verifica” (2016). Il primo, che è ispirato ad una storia vera desunta da una confidenza di una sua alunna, narra la casuale scoperta da parte di una giovane ragazza della buona borghesia, di ipocrisie, segreti, bugie, ma, soprattutto, di insospettabili ambiguità che si celano all’interno della sua famiglia: un tema delicato in cui emergono anche problemi di omosessualità. L’altro, che è ambientato nella scuola, microcosmo di caratteri, di sentimenti, di sensazioni, è stato realizzato dall’autore, come lui avverte, come pretesto per sottolineare, per stigmatizzare e soprattutto coinvolgere o, forse, per rivivere una scuola che non c’è più e che, secondo lui, si è adattata troppo in fretta ad una tecnologia invadente che poco aiuta alla formazione umana dei giovani. Ma lo ha realizzato, forse, anche come un motivo per ridare forza e coraggio alla speranza. Non solo filmmaker Agostino Vincenzi ma anche insegnante di cinema, dopo aver partecipato negli anni a stages di approfondimento per la regia, sceneggiatura e fotografia cinematografica. Sia per il videoCineclub Pesaro che per altri Centri culturali ha effettuato delle “Conversazioni di Cinema” supportate da sequenze filmiche opportunamente scelte.

Temi svolti: Educazione visiva e la struttura del racconto dove si sofferma in particolare su Le invenzioni narrative di Michelangelo Antonioni; La semplicità dell’opera e l’alto valore della sua umanità di Pietro Germi; I generi cinematografici: Il western classico; su Mario Monicelli “Per apprezzarne la saggezza mai retorica di un protagonista della vita italiana”; Il mistero e la paura nel cinema di Alfred Hitchcock; Francesco Rosi: lettura del film Uomini contro; “La forma della luce: pensiero costante che illumina il cammino della vita”. Concludono, per ora, il curriculum cinematografico di Agostino Vincenzi, la cui attività culturale è contrassegnata però da altri momenti significativi. Per anni, infatti, si è dedicato al Teatro rappresentando e dirigendo alcuni spettacoli. Una passione che gli è nata dall’attrazione per l’attività del gruppo “Piccola ribalta”, fondato nel 1952, nata dalle attività del Festival dei gruppi di Arte Drammatica. A quel gruppo Agostino Vincenzi ha offerto la sua collaborazione, in giovane età, pitturando scene di cartapesta e, come modestamente afferma, raddrizzando chiodi usati per poterli riutilizzare in spettacoli successivi. Ed intanto seguiva con vivo interesse, incontri, discussioni, letture di testi teatrali e prove conseguenti allo scopo di poterli poi rappresentare sotto l’attenta guida del regista e scenografo Carlo Vada. Questa attività teatrale gli ha consentito di conoscere figure, come, Arnaldo Ninchi e Glauco Mauri che tanto avrebbero dato in seguito alla televisione e al teatro italiano: “Personaggi dai quali, avendoli frequentati, ho potuto ascoltare, seguire i loro percorsi ed apprendere modi, tempi e la straordinaria funzione del teatro, quale luogo dell’incontro, della condivisione e della cooperazione”. Tra gli spettacoli diretti meritano di essere segnalati le commedie dialettali El quartir e i su parché e Nadel sla nev, ma soprattutto Cegh, zop, matt, a so tutt me, proposto dall’Associazione teatrale “Le Ombre”, sulla vita e le opere del “poeta degli umili” Odoardo Giansanti, meglio noto come “Pasqualon”, nato a Pesaro il 18 settembre 1852 dove muore il 1 settembre 1932: “Un personaggio, secondo Agostino Vincenzi, che per Pesaro rap65 presentò qualcosa di diverso all’incirca nello stesso periodo storico come Trilussa a Roma e Di Giacomo a Napoli. Fu il poeta del mondo dei poveri e degli ignoranti che popolavano il centro urbano di Pesaro e dintorni”. Uno studio, quello del poeta, che ha offerto la possibilità di approfondire la conoscenza di particolari momenti della storia cittadina e della sua quotidianità, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, ma anche di conoscere caratteristiche e peculiarità del dialetto locale. Un uomo di cultura attento osservatore di ciò che lo circonda, lo definisce in un articolo pubblicato sulla Rivista mensile “Il marchigiano” Enzo Curini, che poi aggiunge: “Vincenzi oltre ad essere un bravo regista, è un poeta, un poeta della pellicola, se cosi lo si potesse definire”. E noi aggiungiamo, aggiornando il concetto, che lo si può senz’altro definire “Un poeta del cinema”. (Carte di Cinema online numero 14 ottobre 2017).

Filmografia

Pellicola: 1964 IL TRAMONTO – 1965 LE DUE CITTA’ – 1965 IL FESTINO – 1966 IL TEMPO CHE OCCORRE – 1967 LE ORE INUTILI – 1968 LA STANZA NELLA NEBBIA – 1969 ELLISSE – 1977 QUEL GRIGIO COLORE DEL TRENO – 1978 PIU’ COSE PER UNA SOLA VACANZA – 1979 IL CASO FRANCESCO – 1982 … E ALLORA?…

Digitale: 2004 RUMORI DALLA MEMORIA – 2005 LE DONNE DI PESARO – 2007 TITOLO PROVVISORIO – 2010 L’ALTRO LATO DELLA STRADA – 2016 LA VERIFICA